Nel primo pomeriggio di lunedì 9 settembre, a Ravenna, è stata uccisa Piera Ebe Bertini. È stata uccisa dal marito, che ha poi chiamato le forze dell’ordine per costituirsi.
Il Coordinamento dei Centri antiviolenza dell’Emilia-Romagna esprime vicinanza ai familiari ed a tutte le persone colpite da questa violenza.
Sono passati meno di 4 mesi dal femminicidio di Silvana Bigatti e di Eleonora Moruzzi prima di lei e purtroppo, riscontriamo gli stessi problemi nella narrazione di queste morti per mano maschile.
La parola femminicidio, che è, finalmente, entrata a far parte del linguaggio comune, quando la donna uccisa, dal partner o dall’ex partner, è giovane ed in salute,
sembra non essere considerata per le donne malate o di età superiore ai 70 anni.
Piera Ebe Bertini aveva 77 anni e soffriva di Alzheimer.
Nessuna di queste è una condizione mortale od una colpa, eppure troppo spesso essere una donna anziana e/o malata, in Italia, porta a morti brutali e assassinii.
Il Coordinamento dei Centri Antiviolenza dell’Emilia-Romagna ribadisce che questa tipologia di delitti non ha niente a che fare con la pietà o l’eutanasia e tutto a che fare con la violenza contro le donne.
Perché a decidere il fine vita non sono le donne, ma gli uomini, che si arrogano il diritto di uccidere.
Questa tipologia di femminicidi è il prodotto di una definizione sociale dei ruoli entro la famiglia, che ancora sostiene aspettative di accudimento in carico alle sole donne.
La sovversione della responsabilità di cura, all’interno della famiglia o della coppia, è qualcosa di fronte al quale l'uomo si trova impreparato e reagisce spesso come se fosse egli stesso il soggetto leso.
Così succede che una donna anziana e malata vada incontro all’abbandono o, in casi estremi, al femminicidio:
l'eliminazione fisica di colei che non risponde più al ruolo attribuitole da una società patriarcale.
Dopo gli ultimi fatti di cronaca relativi al femminicidio di Nicoleta Rotaru, D.i.Re – Donne in Rete contro la violenza ha inviato alla presidente della Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio Martina Semenzato la richiesta di rendere operative le sollecitazioni urgenti, inviate dal GREVIO allo Stato italiano già nel 2020.
Il GREVIO sollecitava “le autorità italiane affinché considerassero l’ipotesi di introdurre un sistema, come ad esempio un meccanismo di revisione critica dell’omicidio, per analizzare tutti i casi di omicidio di donne basate sul genere – femminicidio, al fine di prevenirli in futuro, tutelando la sicurezza delle donne e obbligando a rispondere sia gli autori delle violenze, sia le varie organizzazioni che sono entrate in contatto con le parti”.
“È fondamentale comprendere i punti di debolezza del sistema e capire come possa accadere che -nonostante i molteplici contatti con le FFOO e l’autorità giudiziaria – non si sia saputa riconoscere una situazione ad alto rischio e attivare il sistema di protezione, anche previsto dalla Convenzione di Istanbul” dichiara Antonella Veltri, presidente D.i.Re – Donne in Rete contro la violenza. “È altrettanto importante individuare le responsabilità, per arrivare nel minor tempo possibile, alla correzione sistemica degli errori” continua la presidente Veltri
Ancora troppo spesso, l’analisi a posteriori che le esperte dei Centri antiviolenza D.i.Re mettono in atto evidenzia lacune ed errori che potrebbero essere evitati con la giusta formazione sulla violenza maschile alle donne e la conseguente attenzione alla valutazione del rischio.
“Intendiamo suggerire una proposta adeguata alla gravità del fenomeno e che metta in atto le raccomandazioni che, da tempo, il GREVIO ci sollecita. Mettere a disposizione l’esperienza dei Centri Antiviolenza D.i.Re è il nostro contributo” conclude Veltri
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